Jos de Mul. I giochi come vero Organon della filosofia. Ontologie ludiche: Schelling, Huizinga, Borges e oltre. In: Marco Accordi Rickards & Fabio Belsanti (Ed.) Homo Cyber Ludens. Bari: Idra Editing, 2021, pp. 101-129.[1] Also availble as Kindle edition in Italian and English.
Introduzione
Uno spettro ludico si aggira per il mondo. Dagli anni '60, in cui la parola "ludico" è diventata popolare in Europa e negli Stati Uniti per designare comportamenti e oggetti inerenti il gioco, la ludicità è diventata sempre più una caratteristica fondamentale della nostra cultura. Nei primi decenni del XXI secolo si può persino parlare di una «ludificazione della cultura» globale (Raessens 2006). Forse la prima cosa che viene in mente in questo contesto è l'immensa popolarità dei videogiochi (Frissen et al. 2015). Ma sebbene forse più visibile, la cultura dei videogiochi è solo una manifestazione del processo di ludificazione che sembra penetrare in ogni dominio culturale (Neitzel e Nohr 2006). Nella nostra attuale economia dell’esperienza, ad esempio, la ludicità non caratterizza solo il tempo libero (shopping “divertente”, giochi televisivi, parchi divertimento, uso ludico di computer, internet e smartphone), ma anche quegli ambiti che un tempo erano seri, come il lavoro (che oggi dovrebbe essere soprattutto divertente), educazione (serious games), politica (campagne ludiche) e persino guerra (wargames digitali e simulatori virtuali di battaglie sul campo). Secondo Jeremy Rifkin, «il gioco sta diventando importante nell'economia culturale quanto il lavoro lo era nell'economia industriale» (Rifkin 2000, 263). La cultura postmoderna nel suo insieme è stata descritta come «un gioco senza uno scopo generale, un gioco senza una destinazione trascendente» (Minnema 1998, 21). E secondo il sociologo Zygmunt Bauman, anche l'identità umana è diventata un fenomeno ludico. Nella cultura ludica, sostiene, la ludicità non è più limitata all'infanzia, ma è diventata un atteggiamento permanente: «Il segno dell'età adulta postmoderna è la volontà di abbracciare il gioco con tutto il cuore, come fanno i bambini» (Bauman 1995, 99).
Di conseguenza, i fenomeni del giocare e del gioco sono osservati e studiati con sempre più attenzione dalle scienze naturali, le scienze sociali e le scienze umane. Si può pensare, ad esempio, all'implementazione della teoria dei giochi in biologia (Sigmund 1993), economia (Von Neumann e Morgenstern 2007, Leonard 2010) e antropologia culturale (Bateson 1977, 1955). Oltre al crescente interesse per l’attività ludica, che in queste discipline era preesistente, negli ultimi decenni – motivato dalla crescita sostanziale del tempo libero e dalla crescita della ludoindustria e del ludocapitalismo (Dibbell 2008), diversi nuovi campi interamente dedicati allo studio di giochi e videogiochi sono emersi (es. Raessens e Goldstein 2005, Fuchs et al. 2014).
Come dobbiamo intendere questa “ludificazione della cultura”? Cosa dice della nostra vita e della nostra visione del mondo all'inizio del XXI secolo? In ciò che segue presenterò un'interpretazione di questo fenomeno della ludificazione con l'aiuto di due libri: il Sistema dell’idealismo trascendentale (System of transcendental Idealism, 1800) di Friedrich Schelling e Homo ludens (1938) di Johan Huizinga, insieme a un racconto di Jorges Luis Borges intitolato La biblioteca di Babele (The Library of Babel, 1941). Sosterrò che questi lavori, quando li collochiamo nel contesto dell'ontologia dei database che caratterizza la nostra epoca informatica, offrono una prospettiva illuminante sull'ontologia ludica che sta alla base della ludificazione della cultura.
Svilupperò la mia argomentazione in tre passaggi. Nei primi due presenterò alcune delle idee chiave che si possono trovare rispettivamente nel Sistema dell’Idealismo trascendentale di Schelling e nel saggio Homo ludens di Huizinga. Discuterò il loro comune desiderio romantico di trascendenza immanente mediante l'estetizzazione del mondo, così come la loro comune – e non meno romantica – avversione verso la tecnologia moderna. Tuttavia, come sosterrò nella terza e ultima parte del mio intervento, contrariamente a quanto credevano sia Schelling sia Huizinga, è proprio nelle moderne tecnologie dell'informazione che si realizza l’ontologia ludica che cercavano. Usando La biblioteca di Babele (e facendo anche riferimento a simulazioni ludiche di questa biblioteca su internet), questo mi porterà alla conclusione che la svolta ludica della tecnologia trasforma il gioco per computer (i videogiochi) nel "vero organon della filosofia".
1. L'opera d’arte come vero ed eterno Organon della filosofia
Friedrich Schelling, vissuto dal 1775 al 1854, non è solo conosciuto come uno dei tre principali rappresentanti dell'idealismo tedesco, ma è anche considerato uno dei più importanti filosofi romantici. Sebbene molti elementi del suo lavoro possano essere trovati anche – e spesso in precedenza – nel lavoro di precursori come Immanuel Kant e Friedrich Schiller, e di giovani romantici contemporanei come Friedrich Hölderlin, Ludwig Tieck, Novalis e i fratelli August e Friedrich Schlegel, Schelling è stato colui il quale ha unito questi elementi in un sistema filosofico. O meglio: tutta una serie di sistemi, perché la filosofia di Schelling ha subito nel tempo diverse trasformazioni fondamentali. Tuttavia, nel contesto del mio tentativo di approfondire i fondamenti della ludificazione della cultura, il Sistema dell'idealismo trascendentale, pubblicato nel 1800, è l'opera più rilevante.
Per entrare in quest'opera metafisica astratta, che a prima vista sembra appartenere a un mondo che sta definitivamente scomparendo, dobbiamo situarla nel suo contesto storico, di cui in questa sede mi limiterò a considerare solo alcuni dei più importanti elementi filosofici e socio-politici.
Le questioni filosofiche fondamentali nella Germania intorno al 1800 sono quelle proposte da Immanuel Kant nella sua filosofia trascendentale, in cui analizza criticamente l'uso teorico e pratico della ragione umana. Nella Critica della Ragion Pura (1781), in cui prende in esame l'uso teorico della ragione, Kant compie la sua famosa svolta copernicana, che consiste nella scoperta che nei nostri tentativi di comprendere il mondo, contrariamente a quanto si è pensato nella filosofia occidentale fin a quel momento, la nostra cognizione non deve conformarsi agli oggetti, ma piuttosto gli oggetti devono conformarsi alla cognizione umana. Sebbene Kant, da realista, non neghi l'esistenza di "cose" al di fuori della mente umana, nella sua filosofia trascendentale sostiene che i fenomeni (Erscheinungen), che costituiscono il nostro mondo dell’esperienza, sono una sintesi delle cose in quanto tali (Dinge an sich) e le forme a priori della nostra intuizione (tempo e spazio) e concetti a priori (come la causalità). Il mondo in cui viviamo non è il mondo così com'è in sé, ma come appare alla nostra cognizione umana finita.
Nel mondo delle apparenze determinato causalmente, la libertà è impossibile. Tuttavia, nella Critica della Ragion Pratica (1788), in cui Kant analizza la volontà morale, o – per essere più precisi – la capacità della ragione di subordinare le nostre inclinazioni naturali ai principi, sottolinea con forza l'esistenza della libertà umana nella nostra vita pratica e socio-politica.
Sebbene la filosofia trascendentale di Kant sia stata una svolta nella storia della filosofia, nel senso che tutti i filosofi successivi "hanno dovuto" prendere posizione rispetto alla svolta copernicana di Kant, ciò non significa che tutti siano d'accordo con Kant. Intorno al 1800, due problemi legati alla filosofia di Kant divennero centrali. Il primo era lo status della "cosa in quanto tale". Secondo i contemporanei di Kant, Jacobi e Schulze, questo era un concetto molto problematico. Senza questo concetto non possiamo accedere alla filosofia trascendentale di Kant, ma una volta acquisito questo accesso, il concetto non può essere sostenuto. Dopotutto, la Critica della Ragion Pura sostiene che la validità di un concetto a priori come la causalità è strettamente limitata al mondo fenomenico. Come può allora la cosa in quanto tale essere la causa dei fenomeni? Il secondo problema era connesso al fatto che nella filosofia trascendentale di Kant l'uomo sembra essere, per usare la stessa metafora di Kant, "un cittadino di due mondi". Essendo parte del mondo fenomenico, cioè sensibile (natura) siamo completamente determinati dalle leggi causali, essendo parte del mondo noumenico, cioè soprasensibile dello spirito (Geist), siamo assolutamente liberi. Come lo stato problematico della cosa in quanto tale, questa immagine un po' schizofrenica dell'uomo sembrava essere del tutto insoddisfacente per i successori di Kant.
Nei suoi Fondamenti della Scienza della Conoscenza, pubblicati nel 1794-1795, Johann Gottlieb Fichte (1762-1814) risolse entrambi i problemi con un argomento piuttosto coraggioso. Secondo lui bisogna scegliere tra una visione dogmatica, secondo la quale lo spirito (l'io) è determinato dalla natura (il non-io), o una visione idealistica, secondo la quale la natura (il non-io) è determinata dalla spirito (io). Fichte sceglie risolutamente per il punto di vista idealistico. Tuttavia, ora doveva spiegare come sia possibile che nella vita quotidiana non sperimentiamo la natura come un prodotto dello spirito. La brillante risposta di Fichte fu che il senso comune colloca la natura in un dominio indipendente, perché non si rende conto che la natura è un prodotto inconscio dello spirito. Il compito della filosofia è di portare questo processo alla coscienza. Solo quando l'io avrà assorbito completamente il non-io nel pensiero e nell'azione, avrà realizzato la sua libertà. Sotto questo aspetto l'idealismo trascendentale di Fichte è rimasto fedele a Kant, poiché – come Kant – Fichte non considera questa realizzazione della libertà umana come un dato, ma piuttosto come un compito da realizzare.
La filosofia non si sviluppa solipsisticamente. L'ascesa dell'idealismo tedesco è collegata a molti altri sviluppi culturali avvenuti intorno al 1800. Senza dubbio, una delle influenze più importanti sulla filosofia tedesca dell'epoca fu la Rivoluzione francese, che suscitò uno spirito rivoluzionario tra gli intellettuali tedeschi. L'appello di Fichte ai tedeschi per realizzare la loro libertà è stata una delle espressioni più forti di questo spirito. Tuttavia, questo spirito si scontrò con la società tedesca ancora in gran parte feudale. Inoltre, il terrore giacobino che seguì la Rivoluzione francese, fece sorgere dubbi sul modo in cui doveva procedere la realizzazione della libertà umana.
È in questo contesto filosofico e socio-politico che dobbiamo collocare il Sistema dell’idealismo trascendentale di Schelling che era inizialmente sotto l'incantesimo di Fichte e nei suoi primi scritti difende l'idealismo di quest’ultimo. Tuttavia, a causa dei suoi studi nelle scienze naturali, in particolare in chimica e biologia, presto non poté più accettare l'idea di Fichte secondo cui la natura non è altro che un prodotto dello spirito. Secondo Schelling, la filosofia trascendentale, che studia il modo in cui lo spirito si esprime nella natura, deve essere completata con una filosofia della natura (Naturphilosophie), che studia come la natura inconscia si sviluppa gradualmente in uno spirito cosciente. Secondo Schelling, la natura primordialmente finita e lo spirito infinito sono identici. Per questo siamo ugualmente giustificati a comprendere il mondo dal punto di vista di una storia della natura o dal punto di vista della storia dello Spirito. Mentre i suoi scritti della seconda parte degli anni Novanta erano per lo più dedicati alla storia della natura, il Sistema dell'Idealismo Trascendentale si occupa di storia, o – come la chiama in questo libro – «l'Odissea dello Spirito» (Schelling 1978, 232).
In questo libro l'arte gioca un ruolo cruciale. Per capirlo, dobbiamo dare un'altra occhiata alla filosofia di Kant, specialmente alla Critica del Giudizio (1890). In questa terza delle sue tre critiche alla ragione, Kant cerca di colmare il suddetto abisso tra natura e libertà che risultava dalle sue due precedenti critiche, che trattavano rispettivamente di ragione teorica e pratica. Nella prima metà della Critica del Giudizio l'opera d'arte gioca un ruolo importante nel tentativo di Kant di armonizzare natura e libertà. Sebbene Kant si concentri principalmente sui giudizi estetici riguardanti la natura, alla fine della sua analisi, nella sua discussione sull'opera d'arte, la chiama un simbolo di moralità (Kant 2005, 178s.). Sebbene l'opera d'arte sia parte della natura, allo stesso tempo esprime la libertà umana. Una bella opera d'arte armonizza natura e libertà e, sebbene non sia ancora una realtà, è, per citare Stendhal, une promesse de bonheur, una promessa dell'armonia e della beatitudine che possiamo raggiungere nella nostra vita (De Mul 1999, 4f.)
Friedrich Schiller ha elaborato questa idea nel suo Sull'educazione estetica dell'uomo. Inorridito dal terrore giacobino che seguì la Rivoluzione francese, Schiller cercò di spiegare la causa del suo violento fallimento. A suo avviso, il terrore derivava da una disarmonia tra ciò che chiama pulsione sensoriale (la nostra natura sensibile) e pulsione formale (il nostro spirito razionale). Quando una delle due domina, ne consegue un’alienazione fondamentale. Le due possono essere riconciliate solo da una terza pulsione, che Schiller chiama pulsione al gioco (pulsione ludica). A suo avviso, la pulsione ludica definisce in realtà l'essenza dell'essere umano: «L'uomo gioca solo quando è uomo nel pieno senso della parola, ed è totalmente uomo solo quando gioca» (Schiller 2004, 80). Nella visione di Schiller, la pulsione ludica è quella fondamentale, perché ci permette di unire la pulsione sensoriale e la pulsione formale. Questa unione provoca l'esperienza della bellezza: «La bellezza risulta dall'azione reciproca di due pulsioni opposte e dall'unione di due principi opposti. Il più alto ideale di bellezza, dunque, è da ricercare nella più perfetta unione ed equilibrio possibile di realtà e forma» (ivi, XX).
Nei suoi scritti, attorno al 1800, Schelling combina lo spirito rivoluzionario di Fichte con la convinzione di Kant e Schiller che l'arte è una promessa di futura beatitudine. Troviamo questo estetismo romantico già espresso in Il più antico programma di sistema dell’idealismo tedesco (Das älteste Systemprogramm), un breve testo, datato 1796-1797, scritto probabilmente da Schelling nel periodo in cui condivideva la sua stanza nel dormitorio dell'Università di Tubinga con Hölderlin e Hegel:
Infine l'idea che unisce tutte le altre, l'idea di bellezza, assumendo la parola nel senso platonico più alto. Sono ormai convinto che l'atto supremo della ragione, quello in cui abbraccia tutte le idee, è un atto estetico, e che verità e bontà sono sorelle solo nella bellezza: i filosofi devono possedere altrettanto potere estetico del poeta; i nostri filosofi letterari sono uomini senza senso estetico. La filosofia dello spirito è una filosofia estetica. Non si può essere ispirati (geistreich) in nulla, non si può nemmeno ragionare in modo intelligente (geistreich) sulla storia – senza senso estetico. Qui risulterà chiaro ciò che manca a coloro che non hanno comprensione delle idee - e che ammettono abbastanza chiaramente che tutto diventa loro oscuro non appena va oltre le tabelle e gli indici. La poesia acquista così una dignità più alta, alla fine ridiventa ciò che era all'inizio: la maestra dell'umanità; perché non c'è più filosofia, non c'è più storia, solo la poesia sopravviverà a tutte le altre scienze e arti. […] Allora, per la prima volta, ci attende l'eguale sviluppo di tutti i poteri, dell'individuo e della collettività. Nessuna forza sarà più soppressa, allora regnerà la libertà universale e l'uguaglianza degli spiriti! (Hegel, Hölderlin e Schelling 1995, 199-200).
La ragione per pensare che questo testo sia stato scritto da Schelling è che il Sistema dell'idealismo trascendentale, scritto solo pochi anni dopo, si legge come un'elaborazione di queste parole. Il sistema è un'abbagliante combinazione di idee derivate da Kant, Fichte e Schiller, ulteriormente alimentata dallo spirito del movimento romantico a Jena, dove Schelling fu nominato professore nel 1798 all'età di 23 anni. Nel Sistema dell'idealismo trascendentale, Schelling tenta di dimostrare l'unità primordiale dell'attività cosciente dello spirito infinito e l'attività inconscia della natura finita, che egli chiama l'Assoluto. Nell'Assoluto, spirito infinito e natura finita sono identici o – per dirla con un’altra parola – indifferenti.
Il problema fondamentale da risolvere per Schelling nella sua Filosofia dell'Identità è come pensare l'Assoluto. Non appena cerchiamo di coglierlo in un concetto, lo trasformiamo in oggetto per soggetto, rinnegando il suo carattere assoluto, che è la sua stessa essenza. Nella parte finale del libro (sesta parte), l'arte si rivela essere "il cavaliere dall'armatura splendente". Mentre lo spirito umano non ha accesso all'Assoluto, sostiene Schelling, l'opera d'arte incarna l'unità della natura finita e dello spirito infinito. L'opera d'arte è un'espressione finita dell'infinito; rivela l'immaginazione produttiva che caratterizza sia lo spirito che la natura:
Questa forza produttiva è la stessa per cui l'arte realizza anche l'impossibile, cioè risolvere un'opposizione infinita in un prodotto finito. È il dono poetico, che nella sua potenzialità primaria costituisce l'intuizione primordiale, e viceversa ciò che chiamiamo dono poetico è mera intuizione produttiva, reiterata alla sua massima potenza. In entrambi è attiva la stessa capacità, l'unica per cui siamo in grado di pensare e associare anche ciò che è contraddittorio – e si chiama immaginazione. Quindi, ciò che ci appare fuori della sfera della coscienza, come reale, e ciò che appare in essa, come ideale, o come il mondo dell'arte, sono anch'essi prodotti di una stessa attività. […] Ciò che chiamiamo natura è un poema che giace scritto in una scrittura misteriosa e meravigliosa (Schelling 1978, 230-232).
La posizione che Schelling sviluppa nel Sistema dell'idealismo trascendentale è, non senza ragione, chiamata "assolutismo estetico" e può essere considerata come uno dei punti salienti della filosofia romantica. Nella lunga storia della filosofia occidentale, Schelling è il primo a situare l'arte al di sopra della filosofia:
Se l'intuizione estetica è mera intuizione trascendentale divenuta oggettiva, è evidente che l'arte è insieme l'unico vero ed eterno organo e documento della filosofia, che continua a parlarci di ciò che la filosofia non può rappresentare in forma esteriore, cioè l'elemento inconscio nell'agire e nel produrre e la sua identità originaria con il conscio. L'arte è al primo posto per il filosofo, proprio perché gli apre, per così dire, la santità dei santi, dove arde nell'unità eterna e originaria, come in un'unica fiamma, ciò che nella natura e nella storia si squarcia, e nella vita e l'azione, non meno che nel pensiero, devono sempre separarsi. La visione della natura, che il filosofo inquadra artificialmente, è per l'arte quella originale e naturale. (ivi, 231-2, corsivo mio)
Un modo in cui si esprime questa sublime unità di natura finita e spirito infinito è che l'opera d'arte è «un'infinità inconscia (sintesi di natura e libertà)» (ivi, 225). Nessuna singola interpretazione – sostiene Schelling, prefigurando la nozione di storia effettiva (Wirkungsgeschichte) di Gadamer – può esaurire il significato dell'opera, ciò richiederebbe una serie infinita di interpretazioni e reinterpretazioni. Ma proprio per questo l'opera d'arte esprime, in modo finito, l'Assoluto.
2. La civiltà sorge e si dispiega nel gioco e come gioco
Sembra esserci molta distanza tra Homo ludens e le succitate vette metafisiche e religiose, nonché dall'estetismo romantico del Sistema dell’idealismo trascendentale, di Schelling. Uno studio sull'elemento del gioco nella cultura dello storico Johan Huizinga, Homo ludens, pubblicato per la prima volta in olandese nel 1938, è spesso considerato uno dei testi fondatori della ludologia profana e degli studi sul gioco. Warren Motte, in un articolo pubblicato su «New Literary History» nel 2009, lo definisce addirittura «la dichiarazione chiave del modernismo sul gioco», e aggiunge: «riccamente suggestivo e mirabilmente ampio, fornisce la prima teoria completa della scienza ludica, e rimane inoltre, a settant'anni dalla sua comparsa, un punto di riferimento ineludibile per ogni discussione “seria” sul gioco» (Motte 2009, 26). Molte pubblicazioni in questo campo iniziano a citare la famosa definizione di gioco che Huizinga dà nel primo capitolo di Homo ludens, o almeno si dicono debitrici di questo libro.
Tuttavia, quando diamo un'occhiata più da vicino, in Homo ludens possiamo discernere molti echi della visione del mondo romantica. Già il titolo sembra riferirsi alle riflessioni di Schiller sul ruolo cruciale della pulsione ludica nella vita umana e, nella sua famosa definizione di gioco, Huizinga, come Schiller, sottolinea che il gioco è un'espressione della libertà umana:
Riassumendo le caratteristiche formali del gioco potremmo chiamarlo un'attività libera che sta abbastanza consapevolmente al di fuori della vita "ordinaria" come "non significativa", ma allo stesso tempo assorbe il giocatore in modo intenso e totale. È un'attività che non ha alcun interesse materiale e non può produrre profitto. Procede entro i propri confini di tempo e spazio secondo regole fisse e in modo ordinato. Promuove la formazione di raggruppamenti sociali che tendono a circondarsi di segretezza e a sottolineare la loro differenza dal mondo comune con travestimenti o altri mezzi (Huizinga 1955, 13).
Inoltre, Huizinga non ha mai nascosto la sua affinità con il movimento romantico e il suo estetismo. Già nel suo discorso inaugurale, The Aesthetic Element in Historical Presentation (1905), mostra la sua affinità con questo movimento, e in Homo ludens scrive che «possiamo effettivamente osservare il Romanticismo nascere in gioco, come fatto letterario e storico» (Huizinga 1955, 189).
Tuttavia, per comprendere la profonda connessione tra Homo ludens e il Sistema dell'idealismo trascendentale, dobbiamo approfondire il discorso. Tanto più che la tesi radicale avanzata da Huizinga in Homo ludens non è propriamente conosciuta da tutti i lettori. Questo non solo perché Homo ludens è uno di quei libri a cui molti studiosi fanno riferimento senza averlo effettivamente letto, ma anche perché la traduzione inglese di Homo ludens contiene errori grossolani, già a partire dal sottotitolo del libro. In questa traduzione, pubblicata per la prima volta a Londra da Routledge & Keagan Paul nel 1949 e, dal 1950 in poi, più volte ristampata dalla Beacon Press di Boston, il sottotitolo recita “A study of the play-element in culture” (corsivo mio). Tuttavia, se traduciamo letteralmente il titolo olandese, la traduzione dovrebbe essere "Uno studio sull'elemento ludico della cultura". Coloro che continuano a leggere dopo aver dato un'occhiata alla copertina del libro, scoprono presto gli errori, almeno quello nel titolo, perché lo stesso Huizinga lo indica nella prefazione che scrisse per l'edizione inglese poco prima della sua morte, nel 1945. In questa prefazione, Huizinga racconta che durante le conferenze su Homo ludens a Zurigo, Vienna e Londra, ogni volta il titolo della sua conferenza - «The Play Element of Culture» - ha incontrato le proteste dei suoi ospiti. Huizinga continua: «Ogni volta i miei ospiti volevano correggerlo in nella cultura, e ogni volta protestavo e mi aggrappavo al genitivo, perché non era mio scopo definire il luogo del gioco tra tutte le altre manifestazioni della cultura, ma piuttosto per accertare fino a che punto la cultura stessa porta il carattere del gioco» (Huizinga 1955, XIX). Stranamente, la protesta di Huizinga non ha impedito al traduttore (e all'editore) di attenersi al sottotitolo errato[2].
Ciò è particolarmente strano perché il sottotitolo errato oscura completamente l'affermazione radicale fatta da Huizinga in Homo ludens, e cioè che «la civiltà sorge e si dispiega in e come gioco» (ibid, 5, corsivi miei). Nel penultimo capitolo – Culture e periodi sub specie ludi – Huizinga riassume la sua argomentazione come segue:
Non è stato difficile dimostrare che un certo fattore ludico è stato estremamente attivo durante tutto il processo culturale e che produce molte delle forme fondamentali della vita sociale. Lo spirito di giocosa competizione è, come impulso sociale, più antico della cultura stessa e pervade tutta la vita come un vero e proprio fermento. Il rituale è cresciuto in un gioco sacro; la poesia è nata nel gioco e si è nutrita del gioco; la musica e la danza erano puro gioco. La saggezza e la filosofia trovarono espressione in parole e forme derivate da contesti religiosi. Le regole della guerra, le convenzioni della vita nobile erano costruite su schemi di gioco. Dobbiamo concludere, quindi, che la civiltà è, nelle sue prime fasi, giocata. Non nasce dal gioco come un bambino che si stacca dal grembo materno: nasce nel gioco e come gioco, e non lo lascia mai (ivi, 173).
Il libro di Huizinga, quindi, offre un'ontologia ludica radicale della cultura. Qui, il fenomeno del gioco diventa la chiave stessa per comprendere la struttura fondamentale della cultura. Come nel caso dei romantici, Huizinga distingue il regno della natura – il mondo definito dalla «necessità fisica» e dalla «necessità e serietà della vita quotidiana» (ivi, 8-9) – dal regno della libertà. E mentre Schiller e Schelling consideravano l'arte (intesa come espressione della nostra pulsione ludica) il dominio in grado di armonizzare i domini della natura e della libertà, Huizinga considera il gioco – che per lui, come Schiller, è alla base dell'arte – come il dominio in cui natura e libertà sono in armonia. E mentre i romantici invocano un'estetizzazione fondamentale della vita, Huizinga sostiene la ludicizzazione della vita.
Tuttavia, a prima vista, c'è una differenza importante: mentre per i romantici l'estetizzazione è un progetto futuro, per Huizinga sta gradualmente diventando un ricordo del passato. Sebbene sottolinei che tutta la cultura «nasca e si sviluppi dentro e come gioco», non afferma che le culture continuano sempre a giocare. Tutt’altro. Facendo eco al tono pessimista di The Decline of the West di Spengler, pubblicato nel 1918-1923 (Spengler 1926), Huizinga sostiene che le culture sono più ludiche nella loro giovinezza, e gradualmente diventano più serie e perdono la loro ludicità man mano che crescono e diventano più mature (Huizinga 1955, 75). Per Huizinga, il romanticismo era l'ultima tappa della cultura occidentale che aveva ancora uno spirito ludico. La società ottocentesca, «sembra lasciare poco spazio al gioco» (ivi, 191). E nell'ultimo capitolo del libro dai toni scuri, sull'elemento del gioco nella cultura del XX secolo, Huizinga afferma che l'elemento del gioco nella cultura è "in declino": «la civiltà oggi non è più giocata» (ivi, 206).
Ciò diventa particolarmente chiaro nella sua analisi della guerra, un fenomeno a cui dedica un intero capitolo. Proprio come altre manifestazioni della cultura, la guerra deve essere considerata un giocoso addomesticamento della natura. Mentre nello stato di natura, i conflitti – qui sentiamo una forte eco del Leviatano (1651) di Thomas Hobbes (Hobbes 1976) – possono facilmente sfociare in una violenza brutale senza fine, la pulsione ludica trasforma questi conflitti in una guerra governata da regole, «combattimenti con una funzione culturale», scrive Huizinga, «presuppone sempre regole limitanti, e richiede comunque, in una certa misura, il riconoscimento della sua qualità ludica» (ivi, 90). Ciò separa «lo stato di guerra – quando è dichiarato – dalla pace da un lato e dalla violenza criminale dall'altro» (ivi, 91). Sebbene Huizinga ammetta che il gioco, come espressione della libertà umana nel regno della natura, può essere violento (la guerra è probabilmente il caso più ovvio, ma certamente non l'unico), lo distingue nettamente dall'eccesso di violenza che caratterizza lo stato di natura. Non la violenza in quanto tale, ma l'uso illimitato di essa è ciò che caratterizza lo stato di natura. Tuttavia, secondo Huizinga, nel XX secolo si assiste a un ritorno di questo stato di natura. Riferendosi al terrore della prima guerra mondiale, Huizinga aggiunge: «Spettava alla teoria della “guerra totale” bandire la funzione culturale della guerra ed estinguere l'ultima traccia dell'elemento ludico» (ivi, 91). Qui, fa eco al realismo post-illuminista di Schelling nelle sue Ricerche filosofiche sull'essenza della libertà umana (1809), in cui l'autore sottolinea che la libertà reale e vivente è la capacità di scegliere per il bene o il male (Schelling 2006). Sebbene Schelling e Huizinga dissentano sulla questione del momento in cui si realizza la beata armonia (rispettivamente come qualcosa ancora da realizzare nel futuro o di qualcosa del passato), concordano sulla causa della rottura dell'armonia: un'abbondanza di ragione teoretica e la razionalità tecnologica, lo strumentalismo e il mercantilismo che l'accompagnano. «Questa indipendenza da fini esterni», lamenta Schelling nel Sistema dell’idealismo trascendentale, «è la fonte di quella sacralità e purezza dell’arte, che va così al di là che non solo governa la nostra relazione con tutto il mero piacere sensoriale, ma arriva a porre in questione quale forma d’arte sia la vera natura del primitivismo; o, dal punto di vista dell’utile, a chiedersi quale tipo di arte sia unicamente possibile in un’epoca che presuppone che i più alti sforzi dello spirito umano consistano in progressi di natura economica», come ad esempio – aggiunge laconicamente in nota – «la coltivazione della barbabietola da foraggio [Runkelrüben]» (Schelling 1978, 227).
Anche Huizinga indica «fattori esterni indipendenti dalla cultura propriamente detta» (Huizinga 1955, 199) responsabili del decadimento della cultura ludica. Si riferisce in particolare alla commercializzazione globale della cultura, all'emergere del puerilismo («una miscela di adolescenza e barbarie che dilaga in tutto il mondo negli ultimi due o tre decenni», ivi, 205), «causata o sostenuta dalla tecnologia della comunicazione moderna» (Huizinga 1950, 237). «La tecnologia, la pubblicità e la propaganda promuovono ovunque lo spirito competitivo e offrono mezzi per soddisfarlo su una scala senza precedenti. La competizione commerciale non appartiene, naturalmente, alle forme ludiche sacre immemorabili» (ivi, 199-200).
Sia nell'opera di Schelling sia in quella di Huizinga questa avversione verso la ragione strumentale e la tecnologia sembra causare una strana contraddizione nella loro visione del mondo. Mentre Schelling afferma che l'opera d'arte incarna l'Assoluto, i prodotti della ragione strumentale e della tecnica sembrano cadere al di fuori dell'Assoluto (cosa piuttosto improbabile per un Assoluto che prende sul serio il suo carattere assoluto). E mentre l'opera d'arte è “il vero organon della filosofia”, essa provoca allo stesso tempo – sentiamo qui gli echi di Kant – un'esperienza del tutto disinteressata.
E nel caso di Huizinga, nonostante la sua affermazione radicale secondo cui la cultura «nasce nel gioco e come gioco, e non lo abbandona mai», le sue osservazioni sull'assenza di gioco nel XIX e XX secolo sembrano restringere la sua concezione della cultura in modo piuttosto problematico. Questo ragionamento porta a svariate contraddizioni. Sebbene Huizinga sottolinei ripetutamente che la cultura è possibile solo «nel e come gioco», altrove in Homo ludens, come nella sua definizione di gioco sopra citata, sostiene che quel gioco si svolge interamente al di fuori della vita quotidiana – nel famoso cerchio e ciclo magico – e non è altro che un «interludio disinteressato» (ivi, 9). E mentre sostiene che il gioco è «indispensabile per il benessere della comunità, fecondo di intuizione cosmica e di sviluppo sociale», è allo stesso tempo solo «finzione» (ivi, 25) – e, per questa ragione, è irrilevante per la vita reale. A causa della sua realtà, noi giochiamo sul «sacro impegno» (ivi, 23), ma il nostro gioco è completamente non serio e insignificante.
Nell'introduzione a Playful Identities. The Ludification of Digital Media Culture, abbiamo sostenuto che dovremmo cercare di superare la forte opposizione modernista tra – a livello di atteggiamento – gioco e serietà – e – a livello ontologico – di gioco e realtà (Frissen et al. 2015, 37-38). Solo in quel caso l'assolutismo estetico di Schelling e l'assolutismo ludico di Huizinga – il suo tentativo di vedere l'uomo e il mondo sub specie ludi in modo radicale – possono essere salvati. Facendo riferimento ad autori come Helmuth Plessner, Gregory Bateson ed Eugen Fink (in particolare al suo libro Play as Symbol of the World, 1960), abbiamo sostenuto una visione in cui il gioco è inteso come un fenomeno di doppia esistenza. Il gioco non è tanto un ordine spaziale e temporale completamente al di fuori o al di là della realtà quotidiana, quanto piuttosto uno strato di significato che durante il gioco si sovrappone alla realtà (Playful Identities, 18-19; cfr. Bateson 1955, Fink 1960, 1968), o meglio, per dirla nei termini di Schelling: l'eterno ritorno del gioco, la sua ripetizione infinita, incarna l'unità della natura finita e dello spirito infinito.
Di conseguenza, nella nostra era tecnologica non dovremmo cercare di trovare questa unità di natura finita e spirito infinito al di fuori della sfera tecnologica dominante, ma cercarla nella tecnologia stessa. Solo così potremo capire che il gioco è la caratteristica fondamentale per comprendere e costruire il mondo e noi stessi, e che il videogioco può essere considerato il vero organon della filosofia del XXI secolo.
3. Biblioteche e ontologie ludiche
Per chiarire e sostenere questa affermazione, in quest'ultima sezione, farò riferimento a un terzo testo che, a mio avviso, è un testo chiave per comprendere la dimensione ludica del nostro mondo tecnologico. Mi riferisco a La biblioteca di Babele, un racconto di sette pagine di Jorge Luis Borges, pubblicato nel 1941. Ciò che rende quest'opera particolarmente adatta nel contesto del mio intervento, è che La biblioteca di Babele non è solo un’opera d'arte, ma è stato anche più volte adattato o trasformato in un gioco per computer su internet.
Già la primissima frase del racconto chiarisce che Borges condivide la preoccupazione romantica di Schelling per l'infinito: «L'universo (che altri chiamano Biblioteca) è composto da un numero indefinito, forse infinito di gallerie esagonali». Il narratore della storia continua:
Al centro di ogni galleria c'è un pozzo di ventilazione, delimitato da una bassa ringhiera. Da qualsiasi esagono si possono vedere i piani sopra e sotto, uno dopo l'altro, all'infinito. La disposizione delle gallerie è sempre la stessa: venti librerie, cinque per lato, allineano quattro dei sei lati dell'esagono; l'altezza degli scaffali, dal pavimento al soffitto, è appena maggiore dell'altezza di un normale bibliotecario. Uno dei lati liberi dell'esagono si apre su una sorta di angusto vestibolo, che a sua volta si apre su un'altra galleria, identica alla prima, identica del resto a tutte. A sinistra e a destra del vestibolo ci sono due minuscoli scomparti. Uno è per dormire, in posizione verticale; l'altro, per soddisfare le proprie necessità fisiche. Attraverso questo spazio passa anche una scala a chiocciola, che si snoda su e giù fino alla distanza più remota. Nel vestibolo c'è uno specchio, che riproduce fedelmente le apparenze (Borges 1999, 112).
Se provassimo a visualizzare la Biblioteca, apparirebbe così (dobbiamo tenere presente che questa è ovviamente solo una piccola parte della biblioteca, in quanto il numero delle gallerie esagonali è «indefinito, forse infinito» (ivi, 112):
Ciascuno degli esagoni è simile agli altri e contiene un numero fisso di libri della stessa grandezza: «ogni parete di ogni esagono è fornita di cinque scaffali; ogni libreria contiene trentadue libri identici nel formato; ogni libro contiene quattrocentodieci pagine; ogni pagina, quaranta righe; ogni riga, circa ottanta lettere nere» (ivi, 113). Il narratore della storia racconta che gli abitanti della biblioteca sono rimasti perplessi dai libri raccolti, poiché il loro contenuto e ordine sembrano essere completamente casuali. La stragrande maggioranza di questi è piena di stringhe di lettere senza senso. Solo una volta, ogni tanto, appare una parola esistente. Tuttavia, come spiega il narratore, circa cinquecento anni fa, «un bibliotecario di genio» ha scoperto il segreto della Biblioteca.
Questo filosofo osservò che tutti i libri, per quanto diversi tra loro, consistono di elementi identici: lo spazio, il punto, la virgola e le ventidue lettere dell'alfabeto. Ha anche postulato un fatto che da allora tutti i viaggiatori hanno confermato: in tutta la Biblioteca non ci sono due libri identici. Da quelle premesse incontrovertibili, il bibliotecario ha dedotto che la Biblioteca è "totale" - perfetta, completa e intera - e che i suoi scaffali contengono tutte le possibili combinazioni dei ventidue simboli ortografici (un numero che, sebbene inimmaginabilmente vasto, non è infinito) – cioè tutto ciò che può essere espresso, in ogni lingua (ivi, 115).
Il narratore ci offre una visione affascinante del contenuto di quei libri: "Tutti – la storia dettagliata del futuro, le autobiografie degli arcangeli, il catalogo fedele della Biblioteca, migliaia e migliaia di falsi cataloghi, la prova della falsità di quei cataloghi, una prova della falsità del catalogo vero, lo gnostico vangelo di Basilide, il commento a un vangelo, il commento al commento a quel vangelo, la vera storia della tua morte, la traduzione di ogni libro in ogni lingua, le interpolazioni di ogni libro in tutti i libri, il trattato che Beda avrebbe potuto scrivere (ma non lo fece) sulla mitologia del popolo sassone, i libri perduti di Tacito" (ibid.).
Quando proviamo a immaginare il numero totale di libri nella biblioteca, ci troviamo di fronte a un'esplosione combinatoria. Dato che ogni libro contiene quattrocentodieci pagine; ogni pagina, quaranta righe, e ogni riga ottanta lettere nere, ogni libro contiene 1.312.000 simboli. Poiché ci sono 25 caratteri diversi, ciò significa che il numero di libri nella biblioteca deve essere 251.312.000. Questo è un numero di libri iper-astronomico. Il numero di atomi nell'universo (stimato dai fisici in circa 1080) è trascurabile rispetto al numero inimmaginabile di possibili (ri)combinazioni dei 25 simboli che troviamo nella Biblioteca. Già la collezione composta da un unico libro, insieme a tutte le copie di questo libro con da uno a dodici refusi di una singola lettera, è più grande del numero di atomi nell'universo. Proprio per questo la biblioteca di Babele è fisicamente impossibile. Anche se in futuro fossimo in grado di immagazzinare un libro in ogni particella subatomica, solo una parte estremamente piccola di tutti i libri possibili farebbe parte del nostro universo fisico.
Tornando a Schelling, potremmo dire che questo racconto di Borges è un'espressione finita dell'infinito – e quindi sublime – in un duplice modo. Non solo nel senso che la storia invita a infinite interpretazioni (la letteratura secondaria su La biblioteca di Babele è già impressionante: il matematico William Goldbloom Bloch ha persino scritto un intero libro su questo racconto, intitolato The Unmaginable Mathematics of Borges' Library of Babel (Bloch 2008), ma anche perché il soggetto del racconto evoca, o meglio, quasi tocca l'infinito.
Faccio questa precisazione, perché sebbene il numero di libri sia iper-astronomico, è ancora finito, come lo è la Biblioteca stessa. Secondo il narratore, la biblioteca è «illimitata ma periodica; se un eterno viaggiatore viaggiasse in qualsiasi direzione, troverebbe dopo secoli incalcolabili che gli stessi volumi si ripetono nello stesso disordine, che, ripetuto, diventa ordine: l'Ordine» (Borges 1999, 118).
La ragione di questa ripetizione è che la Biblioteca – come la terra, e probabilmente anche come l'universo nel suo insieme – è sferica: «La Biblioteca è una sfera il cui centro esatto è un qualsiasi esagono e la cui circonferenza è irraggiungibile» (ivi, 113). In effetti, la Biblioteca è una rappresentazione spaziale dell'eterno ritorno dell'uguale di Friedrich Nietzsche. Supponendo che il numero degli atomi e la loro possibile combinazione in molecole nell'universo sia finito, egli credeva che entro un tempo infinito, gli atomi dovessero quindi assumere ogni possibile combinazione, e così, alla fine, ripetersi, e l'universo con loro. Naturalmente, troviamo versioni molto precedenti di questa idea di un universo ciclico e ripetitivo molto prima di Nietzsche, per esempio nella "ruota del tempo" buddista e indù e nell'idea della reincarnazione. E nel mondo occidentale lo troviamo espresso in pensatori presocratici come Eraclito, che pensavano che l'universo si rinnovasse completamente ogni 10.000 anni. È interessante notare che nel caso di Eraclito questa idea era già strettamente connessa con un'ontologia ludica, poiché ipotizzava che «il corso del mondo è un bambino che gioca e muove figure su una tavola – il bambino come dominatore assoluto dell'universo" (Fr. 52, citato da Fink 1968, 29).
Sebbene La biblioteca di Babele possa senza dubbio essere definita una storia ludica, non è un gioco o un gioco nel senso comune. Tuttavia, su Internet troviamo diverse simulazioni al computer della Biblioteca di Borges (vedi ad esempio https://libraryofbabel.info). Questi giochi sono affascinanti, perché consentono all'utente di accedere a ogni singolo volume della Biblioteca. Si può aprire un libro a caso o cercare parole o stringhe di parole specifiche (ad esempio, il titolo di questo testo).
In un primo momento, l'affermazione che questa simulazione ci dia accesso a tutti i libri della Biblioteca sembra non plausibile, perché – come spiegato prima – il numero di libri supera il numero di atomi nell'universo conosciuto. La risposta a questo dubbio è che i libri di questa biblioteca simulata di Babele non sono memorizzati su un disco fisso, ma creati in quel momento (o casualmente o in base a una specifica operazione di ricerca, come nel caso della ricerca del titolo di questo testo). Inoltre, l'utente è in grado di salvare al massimo 30 libri. Altrimenti presto l'hard disk del server, presto tutti gli hard disk del mondo, e infine l'intero universo sarebbe riempito da (ancora solo una piccolissima) parte della Biblioteca. In realtà, la simulazione al computer della biblioteca di Babele è un database. Questo Database di Babele contiene tutti i libri della Biblioteca, ma solo in modo virtuale, come possibilità. In quanto tale è – letteralmente – un'espressione finita del (quasi) infinito, che consente all'utente di attraversare la Biblioteca in un numero infinito di modi.
Ciò che rende la storia di Borges e le simulazioni basate su di essa così affascinanti, è che esprimono la visione del mondo dell'era dei computer in modo molto appropriato. Come ho spiegato più dettagliatamente altrove, in un mondo in cui i computer sono diventati lo strumento più importante, tutto diventa un database (De Mul 2009). Ad esempio, pensando agli studi sulla vita, la vita è diventata un database di geni (un pool genetico) e ogni individuo un percorso specifico attraverso il database genetico. Come la biblioteca di Babele, "il libro della vita" – come viene spesso chiamato il codice genetico, anche se "il database della vita" sarebbe una metafora molto più adatta (Noble 2006) – mostra un numero iper-astronomico di possibili ricombinazioni. Se teniamo conto che il solo genoma umano consiste di circa tre miliardi di nucleotidi, scritti in un linguaggio di quattro lettere, ci rendiamo conto che il numero di possibili (ri)combinazioni (43.000.000.000) del genoma umano è molto più grande e sublime del numero di libri della biblioteca di Borges (De Mul 2013).
Nell'era del computer, la nostra conoscenza del mondo è cambiata da una rappresentazione statica di un particolare stato della realtà, in una giocosa simulazione dinamica. La scienza è diventata modale nel senso che non è più focalizzata principalmente sulla realtà come possibilità. O, come scrive Heidegger in Essere e Tempo: «Al di sopra dell'attualità sta la possibilità» (Heidegger 1996, 34). Come già l'enumerazione di possibili libri di Borges evoca in modo fantasioso, le simulazioni al computer non sono solo in grado di simulare la realtà presente, ma anche molteplici e ipotetici passati e futuri. E come mostrano tecnologie come la modificazione genetica, anche queste simulazioni giocano un ruolo cruciale nell'attualizzazione di questi mondi possibili. Come la simulazione della biblioteca di Babele può creare ogni libro possibile, le biotecnologie in linea di principio possono creare tutte le possibili modificazioni genetiche. Nelle simulazioni al computer il carattere "quasi infinito" dell'universo ottiene la sua espressione finita più sublime.
Anche qui dovremmo renderci conto che l'ontologia del database alla base delle simulazioni è strettamente connessa con gli sviluppi in altre parti della cultura. Si potrebbe pensare all'accresciuta mobilità sociale, economica e geografica all'indomani della Rivoluzione francese, soprattutto nella seconda parte del XX secolo. Secondo Heidegger, gli esseri umani sono esseri progettuali gettati [thrown projects][3] (ivi, 139). Anche se dobbiamo realizzare le nostre possibilità, non partiamo da zero, ma siamo sempre situati fin dall'inizio dal momento e dal luogo in cui siamo nati, il nostro genere, etnia, carattere ecc. Mentre in epoca feudale l'accento sul thrown projects era sul primo termine (la nostra thrownness [Geworfenheit], il nostro essere gettati nel mondo), nella modernità l'accento si sposta sull'elemento dell’essere progettuale (De Mul 2005). Come esprime Ulrich, il protagonista del romanzo di Musil L'uomo senza qualità, mentre in passato era utile avere un “senso della realtà”, nel presente dovremmo concentrarci invece sul nostro “senso di possibilità” (Musil 1979, 11-14, cfr. De Mul 2010, 103ss.).
Sebbene i videogiochi siano solo un tipo specifico di simulazioni tra un'ampia varietà, possono essere definiti il vero organon della filosofia nel senso che esprimono l'ontologia ludica dell'era del computer nella sua forma più pura. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che la divisione pratica tra giochi seri e non seri è al massimo semipermeabile. La stessa simulazione che costituisce il motore di gioco di un carro armato in American Army, viene utilizzata nelle simulazioni al computer che addestrano i soldati al controllo reale del mezzo sul campo di battaglia (Allen 2017).
Questo mi porta ad alcune osservazioni finali. Affermare che l'era dei computer sia caratterizzata da un'ontologia ludica non significa affermare che ciò renda il mondo un posto migliore. Come sostengono sia Schelling sia Huizinga, il gioco può essere molto crudele e, in quanto espressione della libertà umana, può creare giochi sia meravigliosi che distruttivi, sia all'interno che all'esterno del cosiddetto tempo libero. E come sappiamo dal fenomeno del gold farming in Cina[4], il gioco e il lavoro, così come la libertà e la forza, nell'era dei computer si intrecciano nei modi più curiosi (Dibbell 2008). Il carattere seducente di questa identità ludica può anche portare alla violenza della dipendenza dal gioco. Del resto, come chiarisce anche il narratore del racconto di Borges, conoscere il segreto della biblioteca di Babele non apre la strada alla felicità. L'euforia iniziale per la scoperta del segreto della Biblioteca, la consapevolezza che tutte le possibili verità sul mondo e su noi stessi si trovano da qualche parte nella Biblioteca, spiega il narratore, è stata seguita da una grave depressione, perché la possibilità per esseri finiti quali noi siamo di trovare libri sensati in questa iper-astronomica Biblioteca è iper-astronomicamente bassa.
Mentre preparavo questo testo, questa deprimente verità ha nuovamente catturato i miei pensieri. So che da qualche parte nella Biblioteca mi sta aspettando la versione perfetta di questo testo, ma l'unico modo per trovarlo sarebbe inserirlo completamente come query. Anche se ho provato a farlo, finora la mia ricerca, come vi ho mostrato, ha prodotto solo il suo titolo. L'unica cosa che rimane, è la romantica speranza espressa dal narratore della storia di Borges, mentre spiega l'architettura della Biblioteca:
Nel vestibolo c'è uno specchio, che riproduce fedelmente le apparenze. Gli uomini spesso deducono da questo specchio che la Biblioteca non è infinita: se lo fosse, che bisogno ci sarebbe di quella replica illusoria? Preferisco sognare che le superfici brunite siano figurazione e promessa dell'infinito… (Borges 1999, 118).
Bibliografia
Allen, Roberstson. 2017. America's Digital Army. Games at Work and War. Lincoln: University of Nebraska Press.
Bateson, Gregory. 1955. "A Theory of Play and Phantasy." In Steps to an Ecology of Mind, edited by Gregory Bateson. New York: Ballantine.
Bateson, Gregory. 1977. "Play and Paradigm." In Play. Anthropological Perspectives, edited by M.A. Salter. New York: Ballantine.
Bauman, Zygmunt. 1995. Life in Fragments. Essays in Postmodern Morality. Oxford ; Cambridge, Mass.: Blackwell.
Bloch, William Goldbloom. 2008. The Unimaginable Mathematics of Borges' Library of Babel'. Oxford: Oxford University Press.
Borges, Jorge Luis. 1999. Collected fictions. Translated by Andrew Hurley. London, England ; New York, N.Y., USA: Allen Lane The Penguin Press.
De Mul, J. 2005. "The game of life. Narrative and ludic identity formation in computer games." In Handbook of Computer Game Studies, edited by J. Raessens and J. H. Goldstein, 251-266. Cambridge, MA: MIT Press.
De Mul, Jos. 1999. Romantic Desire in (Post)Modern Art and Philosophy, The SUNY series in postmodern culture. Albany, N.Y.: State University of New York Press.
De Mul, Jos. 2009. "The work of art in the age of digital recombination." In Digital Material: Anchoring New Media in Daily Life and Technology. , edited by J. Raessens, M. Schäfer, M. van den Boomen, Lehmann and S. A.-S. & Lammes, 95-106. Amsterdam Amsterdam University Press.
De Mul, Jos. 2010. Cyberspace Odyssey. Towards a Virtual Ontology and Anthropology. Newcastle upon Tyne: Cambridge Scholars Publishing.
De Mul, Jos. 2013. "The biotechnological sublime." Diogenes 59:32-40.
Dibbell, Julian. 2008. "The Chinese Game Room Play, Productivity, and Computing at Their Limits." Artifact 2 (3):1-6.
Fink, Eugen. 1960. Spiel als Weltsymbol. Stuttgart: W. Kohlhammer
Fink, Eugen. 1968. "The Oasis of Happiness: Toward an Ontology of Play." Yale French Studies 41 (Game, Play, Literature):19-30.
Frissen, Valerie, Sybille Lammes, Michiel de Lange, Jos de Mul, and Joost Raessens. 2015. Playful identities: The ludification of digital media cultures. Amsterdam University Press.
Fuchs, Mathias, Sonia Fizek, Paolo Ruffino, and Niklas Schrape, eds. 2014. Rethinking gamification. Lüneburg: Hybrid Publishing Lab.
Hegel, Georg Wilhelm Friedrich, Friedrich Hölderlin, and Friedrich Wilhelm Joseph von Schelling. 1995. "The ’Oldest System-Programme of German Idealism’." European Journal of Philosopky 3 (2):199-200.
Heidegger, M. 1996. Being and Time. Albany, NY: State University of New York Press.
Hobbes, Thomas. 1976. Leviathan. Harmondsworth: Penguin Books LtD.
Huizinga, Johan. 1950. "Homo ludens. Proeve ener bepaling van het spel-element der cultuur." In J. Huizinga. Verzamelde werken. Amsterdam: H.D. Tjeenk Willink & Zoon.
Huizinga, Johan. 1955. Homo Ludens: A Study of the Play-Element in Culture. Boston: Bacon Press.
Kant, I. 2005. Critique of Judgement. Translated by J. H. Bernhard, Dover philosophical classics. Mineola, N.Y.: Dover Publications.
Leonard, Robert. 2010. Von Neumann, Morgenstern, and the Creation of Game Theory. From Chess to Social Science, 1900-1960, Historical perspectives on modern economics. New York: Cambridge University Press.
Minnema, Lourens. 1998. "Play and (post)modern culture. An essay on changes in the scientific interest in the phenomenon of play." Cultural Dynamics 10 (1):21-47.
Motte, Warren. 2009. "Playing in earnest." New Literary History 40 (Winter 2009):25-42
Musil, Robert. 1979. The Man Without Qualities. London: Secker and Warburg.
Neitzel, Britta, and Rolf F. Nohr, eds. 2006. Das Spiel mit dem Medium. Partizipation-Immersion-Interaktion. Marburg: Schüren.
Noble, Denis. 2006. The Music of Life. Biology Beyond Genes. Oxford & New York: Oxford University Press,.
Raessens, Joost. 2006. "Playful identities, or the ludification of culture." Games and Culture 1 (1):52-57.
Raessens, Joost, and Jeffrey H. Goldstein. 2005. Handbook of Computer Game Studies. Cambridge, Mass.: MIT Press.
Rifkin, Jeremy. 2000. The Age of Access. The New Culture of Hypercapitalism, Where All of Life is a Paid-for Experience. New York: J.P. Tarcher/Putnam.
Schelling, Friedrich Wilhelm Joseph von. 1978. System of Transcendental Idealism (1800). Translated by Peter Heath. Charlottesville: University Press of Virginia.
Schelling, Friedrich Wilhelm Joseph von. 2006. Philosophical Investigations into the Essence of Human Freedom. Albany: State University of New York Press.
Schiller, Friedrich. 2004. On the Aesthetic Education of Man. Translated by Reginald Snell. Mineola, N.Y.: Dover Publications.
Sigmund, Karl. 1993. Games of Life. Explorations in Ecology, Evolution, and Behaviour. Oxford [England] ; New York: Oxford University Press.
Spengler, Oswald. 1926. The Decline of the West. Translated by Charles Francis Atkinson. 2 vols. New York: A. A. Knopf.
Von Neumann, John, and Oskar Morgenstern. 2007. Theory of Games and Economic Behavior. 60th anniversary ed. Princeton, N.J.: Princeton University Press.
Note di chiusura
[1] Ringrazio il mio collega Awee Prins per i suoi commenti e suggerimenti riguardo la bozza di questo articolo.
[2] La traduzione inglese, apparsa nel 1946, era basata sulla traduzione tedesca di Homo ludens e sulla traduzione inglese di Huizinga stesso, che mostra diverse discrepanze e una marcata differenza di stile. Nella "Nota del traduttore", il traduttore senza nome esprime la speranza che il risultato finale «abbia raggiunto una sintesi ragionevole». In una nota aggiunta al passaggio dell'introduzione alla versione inglese di Homo ludens, in cui Huizinga esprime la sua critica al sottotitolo errato, il traduttore difende la sua decisione di attenersi a questa traduzione con uno strano argomento stilistico: «Logicamente, naturalmente, Huizinga è corretto; ma poiché le preposizioni inglesi non sono governate dalla logica, ho mantenuto l'ablativo più eufonico in questo sottotitolo» (Huizinga 1955, XIX). Un'altra confusione causata dalla traduzione pubblicata da Routledge Keagan Paul era che si basava sull'edizione tedesca pubblicata in Svizzera nel 1944 e sulla traduzione inglese del testo di Huizinga. Nella sua stessa traduzione, Huizinga ha abbreviato il testo originale e non sempre ha seguito l'originale olandese ad verbum (alcune delle modifiche riflettono lo scoppio della seconda guerra mondiale). Di seguito citerò l'edizione tascabile di Beacon Press del 1955 (identica all'edizione Routledge Keagan Paul), ma nei casi in cui la traduzione inglese sia errata o incompleta, offrirò le mie traduzioni dell'originale olandese (1938) , come è stato ristampato negli scritti raccolti di Huizinga nel 1950.
[3] Secondo Heidegger, l’essere-gettato è lo stato in cui l’uomo si trova a essere e in cui è all’oscuro circa la sua provenienza e la destinazione [NdT].
[4] Si veda: https://en.wikipedia.org/wiki/Gold_farming#China [NdT]